Castelli del Ducato Agazzano e Rivalta di Gazzola (PC) FHD
Il complesso del Castello di Agazzano è composto da due strutture e un ampio giardino-parco a terrazza che si affaccia sulla val Luretta. La Rocca rappresenta una felice sintesi tra l'architettura difensiva medioevale e l'eleganza della dimora signorile rinascimentale.
Il Castello di Agazzano, divenuto alla fine del 1700 residenza estiva della famiglia, arredato con mobili d'epoca: si possono ammirare splendidi affreschi e preziose suppellettili.
Rocca e Castello di Agazzano sono il caposaldo del borgo piu importante della vallata rinomata per i bei paesaggi collinari e i prodotti gastronomici. La costruzione della Rocca inizi nel 1200 per volere di Giovanni Scoto, che fece di Agazzano il centro dei suoi innumerevoli possedimenti. Il figlio Alberto, che porta a compimento i lavori, fu il primo Signore della Città di Piacenza e svolse un importante ruolo politico anche a Milano. Gli Scotti alla fine del 1400 videro entrare nella famiglia Aloisia Gonzaga, donna di grande volontà e capacità a cui si deve la realizzazione del bel loggiato, ancora oggi percorribile nella Rocca. A metà del 1700, grazie al matrimonio di Margherita con Girolamo Anguissola comincia la dinastia degli Anguissola Scotti. Oggi il propietario, il principe Corrado Gonzaga del Vodice, figlio della principessa Luisa Anguissola Scotti. Dopo cinque secoli, quindi, per il gioco del destino, di nuovo un Gonzaga custodice questo affascinante complesso ricco di storia.
Il Castello di Rivalta è una sontuosa residenza signorile, circondata dal magnifico parco, e annovera tra gli ospiti abituali i componenti della famiglia reale d'Inghilterra e si preannuncia con il profilo inconfondibile ed unico di uno svettante torresino.
Ancora vi abitano i Conti Zanardi Landi.
Interamente arredato, ospita il nuovo Museo del Costume Militare.
Il Castello di Rivalta offre, nel borgo, anche 12 stanze di lusso per l'ospitalità alberghiera.
Citato in documenti già a partire dal 1048, nel XIV secolo entra nel dominio dei Landi, che ancora ne mantengono la proprietà con il ramo dei Conti Zanardi Landi.
Sono visitabili il salone d'onore, la sala da pranzo, la cucina, le cantine, le prigioni, le camere da letto, la torre, la sala delle armi, la galleria, la sala del biliardo, il museo del costume militare.
Teses, ricerca, studio ed esplorazione di Sotterranei
La ricerca, lo studio e l'indagine stessa sono gli elementi più emozionanti di un'esplorazione.
Comprendere ciò che si ha la possibilità di vedere, documentare e divulgare le scoperte è la chiave per promuovere la sensibilità e la tutela del nostro passato e della nostra storia.
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Monteruga - il villaggio fantasma - HORUS RECORDER - video e foto Full-HD in volo con i droni
fonte: bari.repubblica.it
La vita, a Monteruga, se n'è andata trent'anni fa. E non è vero che a volte il tempo si ferma: qui ha scavato lentamente, permettendo all'incuria e alla desolazione di trasformare una fiorente azienda agricola in un paese fantasma. Salento, sulla strada che congiunge San Pancrazio salentino a Torre Lapillo: Monteruga è un borgo nato in epoca fascista, dallo sviluppo dell'omonima masseria che come tante altre costellava le campagne tra San Pancrazio, Salice e Veglie. La frazione appartiene tuttora a quest'ultimo comune, e continua a essere segnalata dalle indicazioni stradali di recente fattura. Eppure, a voler entrarci, non è semplice. Bisogna ignorare i cartelli arrugginiti che indicano la proprietà privata, e una volta arrivati in quella che un tempo era la piazza centrale, non farsi prendere dalla suggestione.
Il portone della chiesa è sfondato, come nel più banale dei film dell'orrore. All'interno i calcinacci hanno invaso l'altare, e fuori la scena non è poi tanto diversa: il porticato dove un tempo c'erano le dimore dei contadini - anche stagionali, fino ad arrivare a 800 abitanti - sta crollando, come il soffitto di buona parte degli edifici, di quello che un tempo era il frantoio, del deposito tabacchi e della cantina. Sì, perché a Monteruga c'era tutto il necessario perché si parlasse di un vero e proprio paese: la scuola rurale e la caserma, la chiesa e il dopolavoro, la piazza e il campo da bocce. Qui la vita c'era, fino a metà degli anni '80, e ha lasciato il segno. Quell'agglomerato di epoca fascista - con i motti tipici del regime ancora leggibili all'interno dello stabilimento vitivinicolo - riuniva le masserie dei dintorni, nuclei isolati che avevano visto la possibilità del salto di qualità quando la Sebi (Società elettrica per bonifiche e irrigazioni) aveva acquistato un paio di strutture dell'Arneo, accaparrandosi oltre mille ettari di terreno.
Era il progresso, e a Monteruga erano arrivate famiglie intere dal basso Salento e da altre regioni. C'era una comunità autonoma che viveva dei prodotti della terra - divisi ovviamente in percentuali, a favore dell'azienda - c'erano amori e matrimoni, campi estivi e comunioni. La festa più attesa era quella di sant'Antonio, il 17 gennaio. Nostro padre comprava i regali per i bambini, per conto dell'azienda, ricordano Elio e Adriana Diso. Loro a Monteruga ci sono nati, erano i figli del fattore Pippi, privilegiati perché la nostra casa era l'unica con il bagno interno. Le altre, una cucina e una camera da letto per famiglia, ce l'avevano all'esterno. I ricordi di Elio e Adriana sono quelli di ogni infanzia spensierata, vissuta inseguendo un pallone all'aria aperta o giocando con le bambole, in una distesa di pini infinita. Adriana a Monteruga si è pure sposata, alla fine degli anni '70. Il declino del suo paese d'origine, di quel luogo del cuore che ormai esiste solo nella sua memoria, sarebbe arrivato di lì a poco. Complice la privatizzazione, la spartizione dei terreni, la pulsione dei centri urbani che attiravano a sé sempre più agricoltori. Monteruga si è sfaldato come una zolla, passando da una mano all'altra: dopo l'Ente riforma e l'Iri, si è parlato di un influente esponente del partito socialista dell'era Craxi, di un borgo usato come merce di scambio politico - soprattutto per il valore degli sconfinati terreni circostanti, molto fertili - dell'interesse di vari imprenditori fino a Maurizio Zamparini, il presidente del Palermo calcio che un paio d'anni fa aveva messo gli occhi sulla proprietà, con l'obiettivo - poi sfumato - di trasformarla nel più grande parco fotovoltaico d'Europa. Il risultato è che Monteruga è ormai morto, se non fosse per la memoria di chi ci ha vissuto. Le istituzioni hanno chinato troppo spesso il capo, non hanno voluto vederne le potenzialità: altrove una realtà del genere sarebbe già listata come uno dei borghi più belli d'Italia.
Così come sarebbe stato semplice intravedere l'attrattiva turistica che il Salento aveva cominciato a esercitare per farne un resort di lusso, di quelli che tanto piacciono agli stranieri. Ancora, Monteruga è in una posizione strategica, sulla linea che congiunge l'Adriatico allo Ionio, proprio accanto alla pista Prototipo acquisita di recente dalla Porsche. Invece niente, il borgo resta a guardare e diventa ogni giorno più spettrale. L'unico turismo che sembra conoscere è quello dell'abbandono, quello di curiosi o audaci che si infilano tra sterpaglie ed edifici fatiscenti alla ricerca di nulla in particolare. È un fantasma, che ogni tanto ritorna agli onori delle cronache. L'ultima volta lo scorso autunno, l'ennesimo schiaffo alla purezza dei ricordi di Elio e Adriana Diso: due fratelli - ironia della sorte - sono stati arrestati perché avevano trasformato i casolari in un night club, avviando un giro di prostituzione.