Eremo di Sant'Angelo in Prefoglio o Eremo dei Santi
Il Santuario di Sant’ Angelo “de Prefolio” è posto a quota 690 a sud-est del Pennino, sta a guardia della strada della transumanza battuta dalle pecore che dai pascoli dello stesso monte scendevano verso sud lungo la Val Sant’Angelo, la valle che collega l’altipiano di Colfiorito a Pieve Torina.
L’eremo sicuramente ha riadattato a scopi cultuali cristiani una grotta naturale utilizzata come santuario pagano in età preromana romana, ciò dovuto anche per essere situato lungo una importante via di transito transappennica.
Sulla facciata dell’esterno è incastonata una lapide semicircolare, ricomposta da più frantumi, un tempo posta sull’arco della porta d’ingresso della chiesa, che doveva appartenere alla lunetta del portale della chiesa primitiva.
La lapide è il documento più antico e fa memoria di un intervento edilizio, forse la monumentalizzazione della grotta micaelica, fatta nel 1148 dal priore Diotisalvi, con l’aiuto del duca di Spoleto Federico, del conte Alberto, di Gisla, di altri e della sua gente di discendenza longobarda.
Alberto era il conte di Prefoglio, castello dirimpettaio al santuario micaelico e Gisla era probabilmente sua moglie: da qui l’ipotesi che il santuario fosse stato scelto come sepolcreto dei domini di Prefoglio come anche lascia supporre il sarcofago romano per bambino in marmo bianco, ora riutilizzato come altare, quello prossimo all’ingresso della chiesa.
Nel1252, in clima di “restaurazione”, i “domini” dovettero vendere il loro castello di Prefoglio al Comune Camerino, mantennero però lo iuspatronato sul santuario per la cui gestione si servirono di un capitolo canonicale, presieduto da un priore.
Gli ultimi priori furono nominati nel XVII secolo.
Successivamente l’eremo fu curato da eremiti laici più avanti ricordati.
Nel secolo XVIII, fu ridedicato ai “Santi” ed il fatto è legato alla tradizione che vuole la presenza dei Santi Apostoli Pietro e Paolo di passaggio in quel luogo ai quali si attribuisce la prima evangelizzazione della zona.
L’eremo nel corso degli anni è stato abitato da diversi eremiti
“ Veri“ e “ Fasulli “ infatti intorno al XVII secolo la zona era infestata da malfattori che depredavano o truffavano i passanti trovando poi rifugio nelle grotte e nell’eremo e spesso erano gli stessi “ eremiti “ che compivano tali gesti.
Colui che però ha lasciato la maggiore traccia della sua presenza è Fra Giacomo Squaglia di Lucca, della congregazione dei passionisti, a cui si deve il restauro del 1879 ricordato in una targa marmorea affissa all’esterno. Dopo di lui altre persone hanno abitato l’eremo vivendo in solitudine e di elemosine. Fra gli ultimi eremiti si ricorda una coppia di sposi, lui si chiamava Peppe e lei Ginevra; stando ai racconti raccolti sul posto pare che lui fosse un uomo sereno pacato e sottomesso mentre lei era una donna energica, robusta e molto mascolina tanto che era solita fumare il sigaro, chiedevano anch’essi l’elemosina, raccoglievano erbe e accoglievano i pellegrini nelle loro stanze e facevano loro delle frittate utilizzando una vecchia e grande padella che era una delle uniche pentole che avevano.
Dopo di loro l’eremo è stato abbandonato e come tale ha subito diversi furti tra cui per ben due volte la campana. La prima volta però, non si sa come mai, fu ritrovata poco distante abbandonata in un sacco nero dell’immondizia, e qualcuno ha voluto pensare ad una intercessione di San Michele che ha spaventato i ladri, la seconda volta però durante i lavori di restauro della chiesa avviati dopo il terremoto del 1997, è sparita definitivamente. E’ stata sostituita con una nuova acquistata con collette dei parrocchiani, contributi di benefattori e intervento di Enti.
Anche le grondaie e i discendenti di rame sono stati asportati dai ladri e anch’essi rimessi ex novo.
Il santuario rupestre si animava tra Medioevo ed età moderna l’8 maggio, festa dell’Arcangelo ( e momento dell’inizio della transumanza verso i pascoli del Pennino ); mentre il piccolo pellegrinaggio fu favorito dal ruolo di psicopompo di Michele, per cui si saliva in questo luogo isolato non solo per le feste dell’Angelo, ma anche per la celebrazione di messe in suffragio dei defunti.
Nei giorni deputati partivano diverse processioni dai paesi vicini che attraverso i numerosi sentieri della montagna finivano presso il Santuario e l’incontro dei diversi gruppi era la vera occasione di festa, religiosa e popolare. Ad oggi la festa si celebra il martedì di Pasqua e il rito è tuttora mantenuto.