Le opere belliche della Grande Guerra sul Pasubio
Foto di Giovanni pubblicate su fotopaesaggi.it
Il Pasubio è un massiccio calcareo situato al confine tra le province di Vicenza e Trento, delimitato dalla Val Leogra, Passo del Pian delle Fugazze, Vallarsa, Val Terragnolo, Passo della Borcola, Val Posina e Colle Xomo. Congiunge le Piccole Dolomiti all’Altopiano di Folgaria. È stato un importante luogo dei combattimenti della prima guerra mondiale. La zona storicamente più importante del Pasubio è stata dichiarata monumentale dal 1922. È delimitata da 30 cippi che ricordano i reparti che maggiormente si distinsero negli accaniti combattimenti e comprende il Dente Italiano, la Cima Palon e la vetta immediatamente a sud di detta cima. Le principali vie di accesso al Pasubio sono:
1)La strada degli Eroi che dal Pian delle Fugazze (1.162 s.l.m.) - galleria d'Havet al rifugio Gen. Papa, sbocca alle Porte del Pasubio (1.918 s.l.m.). Nel tratto a monte sono state collocate le lapidi ricordo dei 15 decorati di Medaglia d'Oro, della zona circostante, tra cui quelle dei trentini Cesare Battisti, Damiano Chiesa e Fabio Filzi;
2)La strada degli Scarubbi che dal Ponte Verde (901 s.l.m.), per Colle Xomo (1.058 s.l.m.), Bocchetta di Campiglia, si inerpica sino alle porte del Pasubio, ricollegandosi alla strada degli Eroi.
3)La più famosa via d’accesso al Pasubio è stata costruita nel corso della Prima guerra mondiale e rappresenta una delle maggiori opere belliche di tutto il conflitto, che non ha probabilmente pari in nessun luogo. Si tratta della Strada delle 52 gallerie, una mulattiera che permetteva all’esercito italiano il collegamento fra la base del monte e la zona alta al riparo dal tiro nemico (la già attiva strada degli Scarubbi era invece sotto il fuoco austriaco) e in ogni stagione dell’anno. Un’altra considerevole opera bellica del Pasubio è costituita dal sistema sotterraneo dei due Denti. Si tratta di due speroni rocciosi che superano di poco i 2200 metri, sul crinale principale, posti l’uno di fronte all’altro, divisi da una selletta. Dopo le prime fasi del conflitto il dente meridionale (Dente Italiano) fu fortificato dagli italiani e quello settentrionale dagli austriaci, (Dente Austriaco) da cui i loro nomi. Si tratta di vere e proprie fortezze naturali, in cui furono scavati ricoveri, postazioni d’artiglieria e feritoie.
Michele Angelicchio racconta la strage della Galleria del Lokavac
I treni diretti a Trieste, una volta abbandonata la stazione di Monfalcone, affrontano subito due brevi gallerie. Indifferente che si tratti di un sonnolento locale o di un prestigioso Frecciabianca: le gallerie sono corte, ed il passeggero si accorgerà a malapena di attraversarle.
Eppure la seconda galleria meriterebbe la nostra attenzione, perché è stata teatro di una delle maggiori tragedie della prima guerra mondiale: seconda - solo per i numeri, non certo per l'orrore - a quelle dei gas...
Tragedia che è stata però ingiustamente dimenticata: perché per le sue dimensioni, e per i modi con cui si è svolta, meriterebbe un posto importante nella nostra memoria: monito non solo della vacuità della guerra, ma soprattutto della stupidità umana.
Dobbiamo andare al settembre 1917: si è conclusa da pochi giorni l'ennesima Battaglia dell'Isonzo... l'undicesima, per la precisione, della sfilza di battaglie che nell'arco di due anni, a prezzo di alcune centinaia di migliaia di caduti, aveva fatto guadagnare agli Italiani una manciata di chilometri, tanto che il fronte, partito due anni prima da Grado, era adesso arrivato appena ai contrafforti dell'Hermada.
E la battaglia si riaccende sul fronte nel settore di Flondar, con gli austro-ungarici che scatenano nella notte tra il 3 e 4 settembre un infernale bombardamento d'artiglieria.
Il 65° Reggimento di fanteria della Brigata Valtellina ha appena occupato quelle posizioni, al termine di pochi giorni di riposo trascorsi a Vermegliano; durante il bombardamento gli uomini si proteggono in un rifugio sicuro ed invulnerabile: uno dei due tunnel ferroviari, ricordato nel diario del Reggimento come galleria di Lokavac, che in precedenza gli austro-ungarici avevano sapientemente adattato.
Alle 4:50 del mattino cessa il fuoco pesante d'artiglieria, ma anziché scatenare subito l'attacco, l'artiglieria i.r. continua a bombardare le trincee delle prime linee; e quindi i soldati italiani se ne restano al sicuro nella galleria...
Alle 5:40 cessa il bombardamento, ed immediatamente le unità i.r. avanzano verso le linee italiane.
Un reparto austriaco arriva fino all'imbocco del tunnel e lancia delle bombe a mano.
Disgraziatamente - anzi, sciaguratamente - della casse di munizioni erano state depositate proprio in prossimità dell'ingresso: esplodono, e coinvolgono nell'esplosione dei serbatoi di lanciafiamme custoditi a fianco.
Nell'arco di pochissimo - forse meno di un minuto - si sviluppa un incendio furioso ed incontrollabile: il fumo invade tutto il tunnel, asfissiando gli occupanti, e solo pochissimi riescono a mettersi in salvo.
L'incendio prosegue per ben due giorni, consumando e calcinando tutto all'interno.
Quanti soldati italiani morirono in quel tunnel?
Difficile dirlo... la lapide che li commemora ricorda, pudicamente, che caddero centinaia di fanti assieme al loro comandante, il colonnello Giovanni Piovano.
In realtà, i diari ufficiali lamentano per il giorno 4 settembre la perdita di 2400 uomini, la maggior parte dei quali dobbiamo credere si trovasse all'interno del rifugio ferroviario.
Fonte carsosegreto.it