Francia- Finistère- Calvari bretoni-Lampaul-Guimiliau- HD
Il complesso (o recinto) parrocchiale di Lampaul-Guimiliau è un tipico complesso parrocchiale (enclos paroissial) bretone, che si trova nella località omonima, nel dipartimento del Finistère, e che è stato realizzato in gran parte in stile gotico bretone tra il XVI secolo e il XVII secolo.
Annoverato nella lista dei monumenti storici è considerato tra i più notevoli complessi parrocchiali bretoni, è il secondo calvario più grande della Bretagna (risalente al 1581-1588.
I cosiddetti enclos paroissiaux (sing. enclos paroissial, lett. “recinto parrocchiale”) rappresentano una peculiarità dell'architettura e dell'arte cristiana della Bretagna, soprattutto del Finistère e, in particolare, della valle del fiume Élorn, nel tratto tra Brest e Morlaix: si tratta di complessi parrocchiali recintati, frutto dell'opera di variartisti (famosi e non), realizzati in granito (specie in kersantite o pierre de kersanton, lo scuro granito bretone) tra il XVI e il XVIII secolo attorno ad un cimitero e costituiti solitamente, oltre che dal recinto e dallo stesso cimitero, da un arco di trionfale (fr. porte triumphale), da una chiesa, da una cappella funeraria, da un ossario e da un calvario.
Prendono il nome dall’enclos, ovvero dal recinto in pietra che circonda il complesso e che serviva per separare lo spazio sacro dall'esterno, vale a dire lo spazio profano o non sacro.
Complessi religiosi di questo tipo sono molto numerosi in Bretagna: ne esistono una settantina soltanto nella Bassa Bretagna.
Tra i complessi parrocchiali bretoni più famosi, figurano quelli di Guimiliau, di Lampaul-Guimiliau e di Saint Thégonnec nel Finistère settentrionale, di Pleyben nel Finistère meridionale e di Guéhenno nel Morbihan. Alcuni sono andati in gran parte perduti, come il complesso parrocchiale di Plougastel-Daoulas, di cui rimane solo il monumentale calvario.
Nei complessi parrocchiali bretoni sono presenti elementi riconducibili forse alla religione celtica, in particolare alle concezioni sulla morte, che – presso i Celti – non era vista come un inferno terribile, ma come un qualcosa strettamente legato alla resurrezione, paragonato al sole che sorge e tramonta e, che quindi non va “nascosta”, ma resa il più possibile “familiare”.