ELLE TV - Cedimento di un pezzo delle Mura Longobarde di Benevento
Crollato nella notte un capitello romano posto sulla sommità delle Mura Longobarde di via Torre della Catena a Benevento.
Le abbondanti piogge delle ultime ore devono aver reso precario l'equilibrio della struttura. Ora si attendono le disposizioni che al riguardo dovrà dare la Soprintendenza.
Benevento - Piccola Grande Italia
Definita da Orazio “Gemella di Roma Imperiale”, sospesa tra arte, storia e leggende, Benevento, con i suoi mille volti, è una delle città italiane più affascinanti da visitare. Fondata, secondo un’antica leggenda, dall’eroe greco Diomede, sbarcato in Italia dopo aver lottato con Achille a Troia, in realtà Benevento, bellissima città campana, deve la sua fondazione alla popolazione indoeuropea di ceppo sannitico degli Osci.
Molinara (Benevento)
L’antico Borgo medioevale, d’origine longobarda, con i bastioni e le 5 torri, sorge sulla cima di una collina tufacea alta 592 metri. Ci dà l’idea di un tipico castello in un centro fortificato, ed è circondato da una strada perimetrale che si collega al centro urbano sviluppatosi fuori le mura. Il borgo presenta una pianta pentagonale ed è racchiuso da un muro con una torre, a sezione circolare per lo più a scarpa, al termine di ciascun segmento.
Al suo interno troviamo i resti della Chiesa di San Bartolomeo, sulle cui mura sono visibili ancora tracce di dipinti sacri e, a destra, il portone dì accesso al palazzo del Signore, il mastio, divenuto in seguito palazzo gentilizio. Attualmente, la zona è sottoposta a lavori di restauro. All’interno del Borgo Antico, ritroviamo la Chiesa di Santa Maria dei Greci, la cui fondazione risalirebbe all’XI secolo per opera dei monaci basiliani. In essa, per lungo tempo, le funzioni religiose furono celebrate con rito greco-ortodosso, in particolare il battesimo amministrato per immersione e solo a decorrere dal 3 giugno del 1737 esso fu amministrato secondo il rito di Santa Romana Chiesa. E' posta nel luogo de la Porta da Basso e fu riconsacrata dal Cardinale Orsini il 19 settembre 1697.
Siti longobardi in Italia - Castelseprio e Torba
Il Castrum Seprium inserito nel sistema fortificato d'altura di età tardo-romana, e riutilizzato dai Longobardi, il complesso cultuale di San Giovanni Evangelista, completamente ristrutturato dai Longobardi nel VII secolo. La Torre di Torba, esempio significativo di architettura militare, utilizzato nella tarda età longobarda come monastero femminile ed infine la Chiesa di Santa Maria foris portas, ubicata fuori dalle mura nel luogo in cui si sviluppò il borgo altomedievale, eretta come edificio aristocratico privato con annessa area cimiteriale. Essa conserva uno dei più alti cicli pittorici alto medioevali dedicati alla storia dell'infanzia di Cristo.
Questo è il documentario realizzato da ArcheoFrame IULM per conto dell'Associazione Italia Langobardorum con i contributi della Legge77 del MiBACT.
Siti longobardi in Italia - Castelseprio e Torba (PROMO)
Il Castrum Seprium inserito nel sistema fortificato d'altura di età tardo-romana, e riutilizzato dai Longobardi, il complesso cultuale di San Giovanni Evangelista, completamente ristrutturato dai Longobardi nel VII secolo. La Torre di Torba, esempio significativo di architettura militare, utilizzato nella tarda età longobarda come monastero femminile ed infine la Chiesa di Santa Maria foris portas, ubicata fuori dalle mura nel luogo in cui si sviluppò il borgo altomedievale, eretta come edificio aristocratico privato con annessa area cimiteriale. Essa conserva uno dei più alti cicli pittorici alto medioevali dedicati alla storia dell'infanzia di Cristo.
Questo è il promo del documentario realizzato da ArcheoFrame IULM per conto dell'Associazione Italia Langobardorum con i contributi della Legge77 del MiBACT.
Speciale Duomo di Benevento 25 marzo 2018
In viaggio tra fede, arte e cultura. Alla scoperta delle bellezze della basilica Santa Maria Assunta, a Benevento.
Documentario su Benevento parte 1
Documentario sulla città di Benevento andato in onda sul canale satellitare Marcopolo
montesarchio
Montesarchio è un comune italiano di 13.669 abitanti della provincia di Benevento in Campania. Situato 18 km a sud-ovest del capoluogo, nella Valle Caudina, ai piedi del monte Taburno. Antichissime sono le origini del comune: la città sannitica di Caudium, infatti, ricordata per le Forche Caudine, sorgeva probabilmente sul promontorio naturale dell'attuale Montesarchio. Anche i Romani si servirono di tale luogo fortificato ed il nome Monsarcis (monte fortificato) pare sia
alla radice dell'attuale denominazione.
Nel VII secolo il longobardo Arcolo, vassallo del principe Fernando, qui trovò riparo ed organizzò un attacco contro l'esercito di Carlo Magno.
In tale occasione il luogo venne ulteriormente fortificato con la costruzione della Torre, che dà il nome proprio alla collina che domina la città.
Successivamente fu costruito il Castello, che fu però distrutto dai Normanni.
Il trasferimento della popolazione verso la montagna determinò la costituzione, ai lati del castello e della torre, di due borgate protette da mura: lato nuovo (normanna) e lato vetere (longobarda).
Nel secolo XV il Castello fu ricostruito,tuttavia, nonostante che la primitiva fabbrica sia stata quasi del tutto alterata, qualche traccia dell'opera originaria rimane nel basamento di grandi blocchi squadrati a filari paralleli, e nelle aperture a bocca di lupo ai piedi della muratura. Anche il sistema difensivo ci è pervenuto nel suo aspetto originario.
Il Castello, che si articola attorno ad un cortile interno con una pianta irregolare, nonostante i numerosi rimaneggiamenti rimane uno dei migliori esempi di architettura militare della Campania.
Del XVII secolo è la Chiesa di San Francesco, opera di Luigi Vanvitelli, direttore dei lavori per la Reggia di Caserta. Il castello e la torre furono destinati a prigioni di stato durante il regno di Ferdinando II di Borbone: nella torre vi furono rinchiusi patrioti napoletani tra cui Pironti, Nisco e Carlo Poerio.
Successivamente il centro abitato si sviluppò verso la pianura.
Principatus Salerni : l' assedio saraceno, prima parte
Nell' 871-72 Salerno subì un violento assedio da parte dei Saraceni allontananti dal principe longobardo Guaiferio che vinse una sanguinosa battaglia fuori le mura di Salerno. La sua vittoria allontanò per sempre il pericolo saraceno dalla costiera campana. Il suggestivo episodio si presta all’unione di spettacolarizzazione, storia e cultura di una rievocazione storica, favorendo al contempo il turismo locale e la riscoperta del patrimonio storico della città.
L' intento dell' evento è quello di riproporre fedelmente quello che è stato lo spaccato di storia forse più suggestivo della Salerno Longobarda. La manifestazione prevede la collaborazione delle associazioni Fortebraccio Veregrense di Montegranaro (FM), Imperiales Friderici II di Foggia e Benevento Longobarda di Benevento.
Benevento città meravigliosa
Castello di Arechi Salerno
Il Castello di Arechi
A ben 300 metri sul livello del mare si innalza su Salerno il maestoso Castello di Arechi: la fortezza difensiva di quella che un tempo era la capitale del ducato, ha vissuto ben tre secoli di civiltà longobarda, ma in realtà il maniero esisteva già prima dell’avvento del principe Arechi. Durante indagini archeologiche recenti è stato verificato, infatti, come la fase costruttiva più vecchia del castello risalga addirittura al periodo goto-bizantino ovvero il VI secolo, mentre altri studiosi affermano che una prima costruzione risalga al III secolo ovvero sia di epoca tardo-romana. Il principe longobardo Arechi II prescelse la fortezza già esistente quale fulcro del suo regno apportandovi delle necessarie modifiche: ne ordinò la sopra elevazione e decise di rinforzare le mura antiche e così il castello divenne, per natura e per arte, imprendibile al nemico perché munito di tutti gli elementi costruttivi e militari necessari alla sua difesa. Al principe bastò semplicemente far rafforzare il maniero e inserirlo di fatto all’interno del sistema difensivo della città e del ducato che si estendeva da Benevento a Salerno. Il nucleo centrale del castello è protetto da torri unite tra loro da una cinta muraria merlata e da ponti levatoi: a nord ovest è possibile ammirare la torre di guardia, quella più nota e dall’aspetto imponente che ne sottolinea la validità difensiva ovvero la “Bastiglia”. In seguito ai miglioramenti operati da Arechi II, ci furono altri ampliamenti per aumentare l’efficienza e la funzionalità della fortezza, che rimase longobarda finché nel 1077 venne sottratta all’ultimo principe longobardo di Salerno, Gisulfo II, da Roberto il Guiscardo diventando così ufficialmente una fortezza normanna. Nel tempo sono cambiate le dominazioni territoriali, ma il Castello di Arechi ha continuato a svolgere il ruolo per cui era nato: sia durante il dominio aragonese che angioino divenne l’elemento principale dello scacchiere difensivo del regno. Nel 1820 proprio la fortezza longobarda fu protagonista di una fallimentare congiura carbonara che intendeva provocare un’insurrezione popolare, fino poi a perdere d’importanza con i cambiamenti nelle tecniche di guerra, per cui fu del tutto abbandonato dal XIX secolo. I Conti Quaranta sono stati gli ultimi proprietari del Castello, prima di venderlo alla Provincia di Salerno nel 1960: grazie al restauro avvenuto nel 1992, il castello è tornato a splendere sulla cima del monte Bonadies in tutta la sua imponenza quale simbolo della città.
La necropoli dei Longobardi regia Toni Andreetta
Il frammento è tratto dal documentario di Toni Andreetta Dueville. Il pezzo mostra e illustra una delle più importanti testimonianze dei Longobardi in Italia. La necropoli si trova a pochi chilometri da Vicenza. Lo straordinario documento archeologico rappresenta forse uno degli insediamenti più estesi e significativi del nord Italia.
Sanniti
Video sui mucchi di pietra del Matese
Altilia l'antica Saepinum sannita
Altilia Saepinum
Sepino è un centro di pianura, situato ai piedi del Matese e aperto sulla valle del Tammaro. Il nome deriva probabilmente da saepire = “recintare” ad indicare l’antico stazzo recintato connesso all’ allevamento transumante, attività continuata poi nel forum pecuarium.
La città romana è preceduta da un centro fortificato di epoca sannitica che sorge sulla montagna retrostante, detta di “Terravecchia”, espugnato dai romani nel 293 a.C., durante la terza guerra sannitica, ed in seguito a ciò abbandonato dalla popolazione che si sposta appunto a valle. Sceglie un luogo che è punto di incontro di due assi stradali che diventano il decumano e il cardo massimi della città: il tratturo Pescasseroli-Candela e quello trasversale che scende dal Matese e prosegue verso le colline della piana del Tammaro. Il centro ha una sua prima organizzazione nel II secolo a.C. e la massima fioritura in età augustea, quando vengono costruiti o restaurati i più importanti edifici della città (dal foro alla basilica, dal macellum alle terme). L’impianto urbano si mantiene vitale almeno fino al IV-V secolo d.C., quando si registra un nuovo fermento edilizio, probabilmente a seguito del terremoto del 346 d.C. che colpì il Sannio e la Campania. A questo periodo segue una forte crisi economica e demografica, aggravata dalle devastazioni della guerra greco-gotica (535-553 d.C.) riflessa nell’abbandono e crollo degli edifici più importanti del centro, nel restringimento dell’area abitata, nell’ interramento del basolato del foro e nell’ uso sepolcrale di alcune aree ai suoi margini.
Nel 667 d.C. si ha la cessione di tutta la piana ad una colonia di Bulgari da parte dei duchi longobardi di Benevento e la ripresa dell’agricoltura per opera dei benedettini del monastero di S. Sofia di Benevento. La ripresa dura fino alla metà del IX secolo d.C. quando il territorio è minacciato dalle scorrerie dei Saraceni e la popolazione si sposta sulle cime che circondano la piana, alla ricerca di luoghi più sicuri, determinando la successiva nascita dei castelli. La popolazione della Sepino romana si sposta così nel Castellum Sepini, l’attuale Sepino, posto in montagna, in un luogo più sicuro e difendibile. La situazione rimane immutata fino all’arrivo dei Normanni, nella prima metà del XI secolo d.C., quando il territorio di Sepino, insieme a quello di Campobasso, diviene una delle baronie della Contea di Molise.
SUPERQUARK Alberto Angela illustra l'Abbazia di San Vincenzo al Volturno in Molise (Isernia)
Sulle prime vicende storiche del monastero di S. Vincenzo al Volturno getta luce il Chronicon Vulturnense, un codice miniato redatto in scrittura beneventana intorno al 1130 dal monaco Giovanni. Quest'ultimo, per la redazione del testo, aveva attinto a fonti di VIII secolo e di fine X-inizi XI, ma frequentemente aveva manomesso qualche dato storico con il malcelato proposito di enfatizzare la gloria del monastero. Il monaco Giovanni scrisse la cronaca per riordinare le memorie dell'antico cenobio benedettino in un momento particolare, durante il quale il patrimonio monastico era minacciato dalla presenza dei Normanni nel Centro-Italia.
Stando al Chronicon, il monastero fu fondato da tre nobili beneventani, Paldo, Taso e Tato, i quali, desiderosi di condurre vita ascetica, si erano recati all'Abbazia di Farfa. Qui l'abate Tommaso di Morienne aveva suggerito loro di fondare un cenobio lungo le rive del Volturno laddove già esisteva un oratorio dedicato a San Vincenzo, fondato nientedimeno che dall'Imperatore Costantino. La provenienza beneventana dei tre nobili lascia supporre che la fondazione del cenobio sia stata patrocinata dal duca Longobardo di Benevento, Gisulfo II che aveva avviato un processo di espansione territoriale del proprio ducato. L'aristocrazia longobarda, infatti, completamente cristianizzata, cercava di alimentare il proprio prestigio proprio sostenendo la nascita di nuovi luoghi di culto; non è un caso che tra la fine del VII e la metà dell'VIII secolo, nascano o rinascano numerosi monasteri, tra i quali spiccano per importanza Farfa (Ri), Nonantola (Mo), Santa Giulia (Bs) e Montecassino.
L'arrivo dei Franchi in Italia nel 774 pose il monastero in una posizione geopolitica particolare, venendosi a trovare in un'area di confine tra la realtà franca del Nord Italia e quella longobarda nel Sud. Nel 774, l'abbaziato di Ambrogio Autperto, di indiscussa origine franca, ci dimostra che il cenobio risentiva in quel periodo di una forte influenza transalpina. A rafforzare questa convinzione un avvenimento datato al 782: l'abate Longobardo Potone viene deposto, reo di aver abbandonato il coro quando si cantavano le lodi a Carlo Magno. Solamente giurando fedeltà perpetua al re franco, Potone poté riappropriarsi del proprio incarico. Il 27 Marzo 787 Carlo Magno concede particolari privilegi al monastero equiparandolo per importanza alle più note abbazie europee: esenzione fiscale e giurisdizionale, autorizzazione per la comunità ad eleggere liberamente il proprio abate.
Durante il IX secolo il monastero raggiunge la sua massima espansione: gli abati Giosué, Talarico ed Epifanio trasformano il cenobio in una vera e propria città monastica avviando imponenti progetti di costruzione. Nel secondo quarto del secolo il monastero ospitava circa 350 monaci, contava ben dieci chiese e possedeva terre in gran parte dell'Italia centro-meridionale.
Nella seconda metà del IX secolo almeno tre eventi fortemente destabilizzanti frenarono per poi arrestare definitivamente, l'ascesa del monastero. Nell'848 un terremoto danneggia gravemente alcuni edifici dell'abbazia. Nell'860 questa è minacciata dall'emiro di Bari, Sawdan, che recede dal proposito di saccheggiarla dietro consegna di un tributo di 3000 monete d'oro. Ma nell'881 un nuovo gruppo di Arabi, al servizio del duca-vescovo di Napoli Atanasio II, attacca il complesso monastico saccheggiandolo e mettendolo a fuoco brutalmente.
Basilica si sant'Agnese fuori le Mura, Mosaico Abside (manortiz) 1080
MarcoSupersonic
view post Inviato il: 27/6/2009, 16:43 Citazione
Durante il pontificato di Onorio I (625-38), fu riedificata la basilica che sorgeva sulla tomba di S. Agnese, sepolta nelle catacombe sottostanti, sulla via Nomentana. Come S. Lorenzo, la basilica di S. Agnese era dunque un edificio ad corpus, ma a differenza della basilica del Verano, la decorazione seguì le abitudine tipiche dell'arte orientale, con la presentazione dell'effige della santa, insieme a due papi responsabili dei lavori del santuario, isolata al centro di una distesa d'oro nell'abside. Certo, questa tradizione non doveva essere ignota a Roma: la perduta abside di S. Eufemia, forse anche quella originaria di S. Lorenzo, presentavano figure dei martiri isolate ed iconiche, e non possiamo nemmeno escludere del tutto che l'attuale mosaico non riproducesse una decorazione precedente del santuario di S. Agnese. Quel che è certo è che questa tradizione era diventata marginale a Roma, dove già dal sec. VI si era trovato il modo di inserire i santi titolari (ed il committente) all'interno di una teofania che aveva preso il modello di quella dei SS. Cosma e Damiano, e torna protagonista proprio nel momento di massima influenza bizantina, testimoniato, di quei a poco, dagli episodi di S. Venanzio e soprattutto della cappella dei SS. Primo e Feliciano in S. Stefano rotondo.
Persino un critico poco incline a scorgere influenze bizantine come Matthiae, deve ammettere la formazione del mosaicista su modelli orientali, anche se, come vedremo, non manca di stanarne le origini romane: il fondo oro è modulato con tessere tagliate in maniera irregolare e crea una vibrazione luminosa che si offre corposa all'osservatore: le tre figure si stagliano immote sul fondale: sotto i loro piedi c''è un'esilissima striscia di terreno oramai puramente simbolica, così come sono cessate tutte le relazioni naturalistiche e fisiche tra le figure, che mirano invece ad una relazione puramente concettuale: sostituzione di valori, non sottrazione. Ecco dunque la simmetria esatta e l'equivalenza dei gesti tra i due papi, l'accordo cromatico sulle sfumature purpuree, la concezione ritmica della composizione; sopra la testa di Agnese, c'è un menisco stellato con la mano dell'Eterno porgente una corona: ai piedi della santa si pongono gli strumenti del suo martirio, il fuoco e la spada: altro elemento di tradizione orientale, come orientaleggiante è la costruzione della figura (possiamo prendere in considerazione soprattutto S. Agnese, perché i papi sono in buona parte di restauro): la forma si risolve tutta in valori cromatici inseriti in un contorno che ha come primo intento quello di delimitare la figura con una linea morbida e varia, piuttosto che di farla risaltare plasticamente. Ogni movimento è calcolato e corrisposto, come il lieve ancheggiare subito corretto, l'orlo vivace che mostra i piedi sotto la pesante veste; la parte cromatica mostra dei veri e propri pezzi di bravura nella parte della stola che cade fuori piombo (e che viene resa con un colore abbassato di tono) e nella sovrapposizione tra braccia, rotulo e giro della stola, dove la fanno da padrone i delicati trapassi cromatici al limite delle velature.
Tuttavia, proprio nel momento in cui si trova a costruire il viso, il mosaicista abbandona lo stilema orientale e decide di fare un passo ulteriore verso l'astrazione, rinunciando ad ogni rapporto cromatico (passa dalle tessere vitree a quelle di palombino) e rendendo la fisiognomica in modo grafico e lineare. Non era questo un modo sconosciuto a Roma: s'era già visto nel S. Stefano del Maestro degli Apostoli di S. Lorenzo, ed anche nelle coeve pitture catacombali; una via romana all'astrazione dunque, diversa da quella bizantina e forse anche da quella provinciale: basta un semplice confronto tra il volto di Agnese e l'idolica Teodora ravennate, piena di trapassi cromatici che fanno vibrare la superficie, con gli occhi resi vivi da minime asimmetrie espressive. Asimmetrie e trapassi che spariscono a Roma per un obiettivo tanto coerente nei motivi quanto eccessivamente consequenziale negli esiti: così il tentativo di astrazione ulteriore finisce per diventare sottrazione pura e semplice di valori, cromatici ed espressivi, che non vengono sostituiti da altri più sottili, ma spariscono e basta lasciando un pallido viso funereo.
Tutto questo, insieme ad una resa fortemente materiale della pesante stola gemmata, a confronto delle spesso eteree vesti delle sante nelle opere bizantine originali, fanno propendere per l'identificazione del maestro in un personaggio autoctono, evidentemente educato su un'influenza culturale che oramai era dominante anche a Roma, ma mai sino al punto di cancellare del tutto le peculiarità dei maestri locali
Gioielli Longobardi
TGR Umbria - Il settimanale - 3 dicembre 2011
TRAME LONGOBARDE frammenti e racconti intessuti
VIDEO INVITO
TRAME LONGOBARDE
frammenti e racconti intessuti
palazzo Rosari Spada
Museo del Tessuto e del Costume
7 luglio 7 ottobre 2013
Progetto realizzato con il contributo della Regione Umbria
Città di Spoleto
Comune di Sant'Anatolia di Narco
Archidiocesi Spoleto-Norcia
A cura di
Glenda Giampaoli
Giorgio Flamini
Ricerche iconografiche
G.Giampaoli G. Flamini
Editing e Progetto Allestimento
Ralstudio
FabianiFlaminiRosati
Illustrazioni
Davide Travagli e altri
Tessitura
Eva Contardi
Melania Tosi
Sartoria
Serenella Orti
Realizzazione tessuti e modelli
detenuti della Casa di Reclusione di Spoleto.
Realizzazione Accessori
SpoletoGioielli
Servizi museali
Sistema Museo
Realizzazione dell'allestimento
Publi2emme
Direzione Cultura e Turismo
Comune di Spoleto
Daniele Benedetti Sindaco di Spoleto
Vincenzo Cerami assessore alla Cultura
Sandro Frontalini
Anna Rita Cosso
Cinzia Rutili
Luigi Fortunati
Maria Stovali
Si ringrazia :
Donatella Scortecci
Angela Maria Ferroni
Roberta Galassi
Ernesto Padovani
Marco Piersigilli
Edoardo Cardinali
Pietro Carraresi
Andrea Tiriaca
Si ringraziano:
Italia Langobardorum
Polizia Penitenziaria
la Casa di Reclusione di Maiano di Spoleto
l'Istituto d'Istruzione Superiore
Pontano-Sansi, Leoncillo Leonardi
Presentata la II edizione di Benevento Città Luce - 29 marzo 2012
di Teatri e Culture
Le suggestioni dei giochi di luce aggiungono di certo fascino alle meraviglie di Benevento, questo devono aver pensato i tanti giornalisti, che ieri sera hanno partecipato all'anteprima della II edizione di Benevento Luce, progetto dell'assessorato alla Cultura del comune di Benevento, finanziato con le risorse del PO FESR Campania 2007/13.
Vi erano anche molti giornalisti provenivano da Napoli, ospiti speciali a Benevento di alcuni nostri operatori privati nell'ambito di Welcome a Benevento, e delle relative iniziative per promuovere il rilancio turistico della città.
Prima tappa del percorso che dura circa 100 minuti, alla Rocca dei Rettori, il Castello di Benevento dove, al buio, i partecipanti sono stati investiti dall'esplosione delle luci e dalla voce di Peppe Fonzo, Rettore di Benevento.
Espediente per presentare il protagonista del viaggio, il Vento(per la voce di luca Word) che ha attraversato la città attraverso i secoli, mischiando gli odori e i sapori di tante diverse culture e facendola diventare così come è oggi, un museo a cielo aperto dove si respira la contaminazione tra l'ieri e l'oggi, il passato che continua a vivere nel presente.
Si è passati poi alla Chiesa di Santa Sofia, patrimonio Universale Unesco e sempre la voce del Rettore ha raccontato la storia di questa chiesa e il medioevo beneventano facendoci suggestionare dal canto ambrosiano beneventano, antecedente a quello gregoriano.
Il buio ha accolto i presenti nel Chiostro dove, l'improvvisa accensione di una immensa luna ha dato il via al racconto del vento che in queste mura non è mai riuscito ad entrare mentre un video invitava ad osservare le meraviglie dei capitelli, produzione dell'arte e della fantasia di ignoti artisti medievali.
Un tuffo nella meraviglia, il museo contemporaneo en plein air, l'Hortus Conclusus di Mimmo Paladino che proprio ieri festeggiava i 20 anni dall'installazione, e anche qui il Rettore ha permesso un tuffo nella storia antica della città rievocando suggestioni che dai Longobardi risalgono i secoli fino a raggiungere Iside.
Via Erik Mutarelli è stata il luogo in cui il Rettore, in puro beneventano, ha parlato delle lingue che si sono parlate in città e di come il dialetto locale sia una lingua parlata solo in quest'isola lontana dal mare
Ancora una tappa all'Arco Traiano, l'arco di trionfo meglio conservato al mondo, e anche qui tanti cenni storici e tanti racconti intano che i presenti venivano accompagnati a Palazzo Paolo V per la degustazione dei torroni e delle prelibatezze Strega.
Nel cortile, all'improvviso, una nuova esplosione di luci, di suoni e di immagini che hanno riportato ai processi alle streghe e alle loro condanne a morte.
Ultima tappa L'arco del Sacramento cui ieri non è stato possibile accedere per motivi logistici, ma che promette nuove ed accattivanti sorprese.
Benevento Città Luce che inizierà ufficialmente il 31 marzo terminerà il 24 giugno durante i weekend e tutti i festivi, da un'ora dopo il tramonto(partenze ogni 20 minuti), per gruppi di massimo 40 persone per cui è indispensabile la prenotazione allo 0824 1816699 o collegandosi a cittaluce@beneventocultura.it
L'apposito sito internet è all'indirizzo che permette anche la prenotazione on line.