Mario Albanese a Palazzo Sarcinelli. Intervento del critico Giancarlo Pauletto. 2^ parte.
Nel rivedere l'attuale pittura di Mario Albanese, due sono essenzialmente le riflessioni emergenti. L'una, fondamentale, che la sua pittura è andata assumendo via via col trascorrere degli anni in maniera sempre più decisa la dimensione netta
dell'emergenza memoriale.
L'altra, che essa non annulla né si sostituisce al presente. Il passato infatti per lui, nel suo riemergere, assume i contorni della narrazione leggendaria, facendo proprie tutte le digressioni e le tramutazioni di un evento, che la memoria restituisce assegnandogli un altro volto. ...Non si tratta di una fuga dal presente per rifugiarsi nella consolatoria
orditura di ciò che, secondo i processi di Marcel Proust, è perduto. L'artista sottopone il vissuto a una cernita paziente per
selezionare ciò che resiste a questa operazione di filtro, per tentare di darne un assetto fisionomico...
(Salvatore Maugeri, 1989)
...Un risultato di compimento ritrovato sulla lenta maturazione di non estemporanei sotterfugi ma di interne e meditate
sintesi di forme e di immagini, di esistenze e di simboli: il vertice, dunque, questi Giardini di Armida, di una interiore ricerca
lungamente portata avanti di esistenziali materie e di mito, di giudizio e di memoria per una compiuta genesi d'arte.
C'è una legge per cui tutto s'interna come le serpi profetiche e sognanti sulle colline del cielo Così cantava Hoelderlin in
versi dedicati a Mnemosyne, la dea della Memoria, madre delle Muse e della Poesia, e dea del Tempo e dei mondi che
s'internano, che si fanno interiori. Così Mario Albanese, tra le sue colline vicentine, ha interiorizzato nella sua pittura qualcosa
che, facendosi e disfacendosi senza più esternità e senza sosta, riguarda il suo e il nostro trascorrere esistenziale.
(Dino Formaggio, 1987)
...Albanese ha saputo creare una sorta di itinerario intellettuale e sensitivo che attraversa il labirinto del ricordo, penetra
i sedimenti, le suggestioni, gli echi accumulati nel corso del tempo, nello studio, nei rapporti con persone e personaggi, nella
coltivazione di un'acuta sensibilità, e nostalgia per la natura, per il rapporto diretto e sensoriale con le cose. La sua abilità nel
segno e nella definizione somatica nasce indubbiamente da questa insopprimibile esigenza di restituzione e ridefinizione
fisica dell'esistente, della rotondità volumetrica e dell'ambiente, ma è anche originale modulazione di un clima di
reminiscenza poetica che, da un lato sottolinea e acuisce la percezione dello smarrimento di contatto con il reale, dall'altro
esalta il riferimento conoscitivo e lo spessore delle esperienze vissute con le cose, accanto a persone, partecipando a
situazioni di selezionata qualità e di eccezionale ricchezza di sollecitazioni all'arricchimento e al raffinamento culturali...
(Giorgio Segato, 1989)
...Heidegger diceva che il sacro decide inizialmente intorno agli uomini e agli dei, se siano, chi siano, come siano
e quando siano. Parafrasando potrei dire lo stesso per i tuoi paesaggi, ossia della tua trasgressione espressiva (autentica)
in un'epoca in cui tutto sembra possibile perché consumabile. Quello che ti salva, ti isola e ti distingue è quel sentimento
del sacro (lo stupore che il quadro di cui parlo libera in me) che oggi è quasi sempre irriconoscibile, perché ha la presenza
di una luna, appunto, quando, in un terso cielo notturno è velata dal candore di una nube.
(Giuseppe Zigaina, 1998)
...In quei venti quadri, Mario Albanese ha palesato non soltanto quello che sa e lo ossessiona di Pasolini, ma anche
le domande e gli echi che vengono dal passato e che hanno provocato un corto circuito nell'anima. ...Ci sono numerosi
paesaggi, sospesi fra veglia febbrile e sogno agitato, memoria e presente, in attesa di una rivelazione che già traspare
in segni sparsi e metafore. E proprio nei paesaggi la qualità della pittura ha momenti straordinari e memorabili, nell'avanzare
trasognato dell'ombra, nel disporsi turbato delle forme in controluce, nei marroncini che digradano della colline violette,
nei verdi impossibili che pure sono già stati, nell'impercettibile mutare delle stagioni, ma anche nel sospetto di una macchia
che impercettibilmente arrossa un lembo dell'umido campo che si nutre di morte.
(Sergio Garbato, 2002)
Riecco l'ombra di Pasolini aleggiare nella pittura. Stavolta è Mario Albanese a tentare questa ricognizione che, pur nella
minuzia verista, si intride di inquietanti risvolti psicologici. Vi appaiono paesaggi dalle pieghe paurose, drappi insanguinati,
ma anche figure di mitologica bellezza, assieme a maschere micenee. C'è anche lui, Pasolini, in forma di Narciso.
E c'è un paesaggio di romantico selvaggio fascino, intitolato Il mio linguaggio diventerà muto. Una mostra splendida.
(Paolo Rizzi, 2002)