PORTOBUFFOLÈ (TV) BORGO PIÙ BELLO D'ITALIA -DOCUMENTARIO UFFICIALE
Portobuffolé è un comune italiano di 755 abitanti della provincia di Treviso in Veneto, il più piccolo paese della provincia in termini sia di popolazione che di superficie. Il comune è stato inserito nel club de I Borghi più belli d'Italia.
Come per Asolo, Castelfranco Veneto, Treviso e tante altre città italiane, anche il centro storico di Portobuffolè è recintato da mura.
Al confine con il Friuli-Venezia Giulia, è uno dei pochi comuni della provincia a estendersi su entrambe le rive del fiume Livenza. In particolare, il capoluogo, Ronche e Settimo si dispongono presso un'ansa alla sinistra del fiume, mentre alla destra si trova Faè. Altri corsi d'acqua degni di nota sono il Resteggia e il Rasego: entrambi affluenti di destra del Livenza, segnano rispettivamente i confini con Gaiarine e con Mansuè.
Origini
Si ritiene che l'insediamento più antico della zona fosse la frazione Settimo. L'antica Septimum de Liquentia (in riferimento alle sette miglia che la distanziavano da Oderzo) era un modesto villaggio rurale sorto nel III secolo a.C. sulla riva sinistra del Livenza. La tradizione la ricorda nell'ambito della traslazione del corpo di San Tiziano di Oderzo (VII secolo d.C.), ma fondamentale è un documento del 997: è un contratto di affitto tra il vescovo di Ceneda Sicardo e il doge Pietro II Orseolo in cui si cita il castro et portu...in loco Septimo, provando l'esistenza di un luogo fortificato e di un porto fluviale.
L'attuale toponimo compare in uno scritto successivo in cui è citato il Castellarium Portus Buvoledi. Secondo il Marchesan, deriverebbe dal termine bova, che in latino medievale significa canale.
Il medioevo
Conferma della sua importanza strategica, durante l'epoca feudale il castello passò sotto il controllo di numerose autorità, sia signorili che religiose. Forse all'inizio fu dei Carraresi, essendo poi del Patriarca di Aquileia. Dal 908 l'imperatore Berengario lo donò al vescovo di Ceneda Ripalto.
Nel 1166 il centro cadde nell'orbita del comune di Treviso, ma nel 1242 tornò sotto Ceneda. La bastia venne quindi distrutta dal trevigiano Gerardo de' Castelli, per poi essere ripresa e restaurata dai vescovi.
Il 2 ottobre 1307 Portobuffolé è assegnato a Tolberto da Camino, marito della nota Gaia. Ma le dispute non cessarono: nel 1336 Samaritana Malatesta, seconda moglie di Tolberto, riuscì a riprendere il controllo del castello con l'appoggio dei Veneziani, dopo le minacce dei parenti del marito.
La Serenissima
Questo evento aprì le porte della città alla Serenissima e il 4 aprile 1339 essa venne dichiarata parte della Repubblica. Dopo la parentesi della guerra di Chioggia con il dominio carrarese, Portobuffolé attraversò il suo periodo d'oro: divenne sede di una podesteria e ottenne un Consiglio Civico, un Consiglio Popolare e un Ordine dei Nobili; al contempo, si affermava come importante centro commerciale e culturale.
I domini francese e austriaco
Dal 1797 Portobuffolé fu controllato dalla Francia rivoluzionaria che aveva invaso il Veneto. Divenne sede di comune e, a capo di un'ampia giurisdizione, manteneva il suo ruolo di importanza essendovi istituito un tribunale civile e criminale.
La situazione durò pochi mesi poiché, con il trattato di Campoformio, la Repubblica di Venezia cadeva definitivamente e i suoi territori passavano all'Arciducato d'Austria, per poi tornare francesi nel 1806. L'importanza della cittadina cominciò a declinare: perse il tribunale e la giurisdizione sul distretto.
Tornata definitivamente austriaca nel 1815 (Regno Lombardo-Veneto), tra il 1816 e il 1826 la frazione di Settimo fu ricompresa nel limitrofo comune di Brugnera.
Dall'Unità d'Italia ad oggi
Il 15 luglio 1866 a Portobuffolé giungeva il primo manipolo di soldati italiani: è l'entrata della cittadina nel Regno d'Italia.
Nel Novecento la popolazione subì i lutti delle due guerre mondiali e del fascismo. Terra di emigrazione, solo dal secondo dopoguerra si ebbe un periodo di fioritura economica che fecero di Portobuffolé un centro nevralgico per l'industria del mobile. Il paese dovette soffrire infine le distruzioni delle alluvioni del 1965-66[7].
Monumenti e luoghi d'interesse
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Duomo di Portobuffolé.
I portici del centro storico
La Torre Civica che sovrasta Palazzo Zanutto Maccan
Portobuffolé è dal 2001 Bandiera arancione del Touring Club Italiano.
Porta Friuli
Il Duomo di San Marco
Da vedere la presunta casa di Gaia da Camino (oggi Museo del ciclismo Alto Livenza), la Porta Friuli e il Duomo, secondo una tradizione ricavato da una ex sinagoga.
Ville venete
Di seguito è riportato un elenco delle ville venete presenti sul territorio comunale di Portobuffolé:
Villa Cellini, Giustinian, Salice[8].
Villa Turon, riportata nei mappali del patrimonio veneto.
Portobuffolè - Treviso. il museo della civiltà contadina e dell'artigianato
Il museo della torre civica nasce dall’esigenza di raccontare il recente passato, illustrando come è nata e come si è sviluppata la cultura di arti e mestieri nell’area dell’Alto Livenza. Vi trovano posto oltre 2000 pezzi donati da cittadini di Portobuffolè, ma anche di altri comuni dell’area, che hanno voluto contribuire a creare questa interessante raccolta.
Gli oggetti esposti rappresentano le attività che nell’ultimo secolo hanno fatto parte della vita quotidiana degli abitanti di queste zone. Vi troviamo molti attrezzi utilizzati in agricoltura. È esposto tutto ciò che serviva un tempo per ricavare il vino, dal torchio dei primi del 900 alle botti e ai tini. Di particolare rilievo i gioghi in legno, che venivano utilizzati per il bestiame impegnato nei lavori dei campi. Scale di tutte le dimensioni, falci, badili, sgranatrici utilizzate non molto tempo fa da adulti e bimbi per sgranare la biada. È possibile anche ammirare la tagliafoglie, attrezzo impiegato per recidere le foglie dei gelsi da utilizzare nella lavorazione del baco da seta, attività tipica fino a qualche decennio addietro. Interessante la ricostruzione di un carretto interamente realizzato in legno, restaurato in tempi recenti, ma risalente alla prima metà del 900. Si tratta di uno dei pochi mezzi di trasporto che i contadini locali utilizzavano facendolo trainare dal bestiame nel lavoro dei campi oppure dai cavalli per trasportare le persone.
Una seconda serie di attrezzi è dedicata alla storia della lavorazione del legno. Grandi banchi da marangon (falegname) testimoniano le attività del falegname che un tempo lavorava nella sua officina artigianale utilizzando un banco completo di morse e attrezzi vari come seghe di tutte le misure, frese, scalpelli, pialle, e soraman (pialle di grandi dimensioni utilizzate per le superfici più estese). È possibile anche ammirare un banco portatile che veniva utilizzato nelle trasferte, quando l’artigiano si spostava nelle varie famiglie che necessitavano del suo intervento. Di particolare pregio la combinata del 1938, una delle più antiche macchine per la lavorazione del legno utilizzata nelle prime fabbriche della zona e impiegata a scopo dimostrativo fino a qualche decennio fa.
Altre attività praticate soprattutto in ambito domestico erano filatura e tessitura, cui si dedicavano in prevalenza le donne. Nel museo troviamo delle macchine da tessitura ancora funzionanti. Pur essendo proprietà di famiglie della zona, in origine queste macchine furono realizzate nelle filande di Biella e, una volta dimesse dall’attività industriale, vennero distribuite nelle famiglie per realizzare lavori di tipo più artigianale. In quest’ambito ritroviamo alcune macchine da cucire di pregio che venivano usate dalle donne per confezionare i capi d’abbigliamento per tutta la famiglia in tempi in cui la povertà faceva da padrona assoluta.
Vi sono all’interno del percorso anche oggetti di uso quotidiano come solferine, usate per accendere il fuoco con lo zolfo, suppellettili varie, vasi da latte e arnesi da cucina tipici della civiltà rurale. L’intero patrimonio di oggetti è disposto sui diversi livelli della torre, che, oltre al piano terra, conta quattro altri piani. Centoquattordici gradini costituiscono la via d’accesso all’edificio. La prima rampa di scale è realizzata in pietra e porta fino all’ingresso del palazzo del Fontego. Da qui poi ci si imbatte in una serie di scalini in legno che conducono al portone d’ingresso del torrione. Anche i piani interni della torre sono collegati da scalini di legno.
Da sottolineare che arrivati all’ultimo piano si può ammirare un panorama davvero unico. Da un lato si estende la grande spianata verde dei Pra’ de Gai, dall’altro si delinea il corso del fiume Livenza, che fino al 1911 scorreva sotto il ponte di Porta Friuli. Un paesaggio incantevole che si può godere solo in cima ai ventotto metri della torre.
Museo aperto solo su prenotazione gite, gruppi. Rivolgersi all' Ufficio Turistico tel. 0422-850020
I volti di villa Manin
Le facce di pietra vicentina ornano le barchesse della villa di Ludovico Manin a Passariano. L'ultimo doge di Venezia ci ha lasciato dei preziosi tesori, io ho aggiunto due bassorilievi virtuali.