Visita al villaggio minerario di Formignano dei sindaci del cesenate,IVa parte by Dellamore S.
Prolusione storica di Ennio Bonali per l'inaugurazione del monumento al minatore.
Nel lavoro la vita: è la frase iscritta sulla lapide affissa allo spungone che fa da sfondo al monumento. Il lavoro, infatti, scandisce i tempi del vivere, nel bene e nel male; il lavoro è il segno dell'accettazione sociale; l'assenza di lavoro è emarginazione e sofferenza.
Come si presentava il lavoro nell'area cesenate dello zolfo? Quante e dov'erano le miniere poco più di un secolo fa, nella fase attiva dell'estrazione? Erano una quindicina, nei Comuni di Cesena, Teodorano, Mercato Saraceno, Sogliano.
In una prima fase, altre miniere minori erano nei Comuni di Predappio e Mel-dola.
Nel vicino Montefeltro (a Perticara) vi era un analogo insediamento produttivo.
E' storica la connessione economico-culturale esistente fra Montefeltro e Romagna. Tant'è che Napoleone, nella sua breve incursione in Italia, lo aggregò al Dipartimento romagnolo del Rubicone. In quell'area, molti si dicono ancora oggi romagnoli.
In questi territori, migliaia di contadini senza terra formarono una delle più importanti aggregazioni proletarie d'Italia nella seconda metà dell'800.
Secondo la definizione latina, proletari perché possessori solo della propria prole, dei propri figli. E, secondo il Manifesto, quello del 1848, i proletari non hanno nulla da perdere tranne le loro catene. Questo spiega la grande effer-vescenza sociale presente.
Ma quali erano le condizioni di vita e di lavoro in quegli anni in quelle stesse tane buie nelle quali, in epoca romana, venivano comandati gli schiavi?
Lasciamo la parola al Conte Giuseppe Pasolini Zanelli, ad un benpensante, non ad un rivoluzionario, che visita la miniera Boratella Iª, di proprietà della Cesena Sulphur Company, il 7 novembre 1874.
Una delle miniere più attrezzate della zona.
...Noi seguitammo il nostro cammino lungo la strada ferrata [la ferrovia a cavalli di 5 chilometri che passava sotto Monteiottone] nella stretta, arida, desolante valletta della Boratella. Già s'incominciava a scorgere una vampa sulfurea e colonne di fumo s'alzavano al cielo... in una triste campagna senza vegetazione o coltura...
Confermerà più di recente lo scrittore siciliano Leonardo Sciascia: ...Nei campi vicino alle zolfare le spighe non granivano per il fiato dei calcheroni.
Continua il testo di Pasolini Zanelli: La lunga via, il freddo, l'umidità avevano destato in noi un forte appetito. Corremmo a soddisfarlo in un bettolino... era un casotto di legno affumicato, senza pavimento, senza panche da sedere; vero ritrovo di quei miserabili lavoratori, che usciti dal seno della terra affaticati vi prendo-no in piedi un magro cibo e ritornano avvinazzati e be-stemmiando nelle tenebre ed alle fatiche... la mancanza di altro mestiere condusse alla condizione di cavatori... ogni operaio che frequenta l'osteria ha la taglia, cioè una tavoletta di legno sulla quale si segna col temperino il numero dei pasti. In capo al mese si tira la somma e l'avventore paga il suo debito.
Noi sappiamo che, essendo spesso il bettolino gestito dalla proprietà della miniera, gran parte del salario ritornava indietro sotto forma di guadagno sulle merci. Non a caso gli inglesi lo chiamavano sistema truccato.
E di quale infima qualità fossero gli alimenti là somministrati testimoniano relazioni dell'epoca. Nell'ottobre 1877, scriveva il dr. Stefano Cavazzutti, medico delle miniere di Boratella:
Ho avuto più volte occasione di osservare che i viveri somministrati nei bettolini... sono decisamente nocivi alla salute... e qualche volta sono veleni. (continua nel V°video)