Provincia di Lecce in LIS (Lingua Italiana dei Segni)
Si dice che il Salento, o come si diceva un tempo, la Japigia, sia terra di cultura, storia e amore senza fine. Chi viene nel Salento, per vacanza o per lavoro, racconta di una terra solare, sempre pronta ad accogliere e incantare.
Tre dei quattro elementi primordiali, personificati nel sole, nel mare e nel vento, sono diventati oggi i simboli del marketing territoriale del Salento, conosciuto in tutto il mondo come luogo esotico e ricco di storia e cultura millenaria.
Il suo mare, smeraldo e cristallino è l’anima che avvolge quasi integralmente le terre salentine.
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BUROT scultore - Volti di Pietra
Omaggio all'artista monregalese Francesco Russo in arte BUROT.
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Un atto d’amore per l’arte é tutto l’indomito cercare e sperimentare di Burot, il suo avido guardarsi intorno con voracità di autodidatta e con l’umiltà di chi sa apprezzare i grandi esempi delle più varie epoche. Le sue precoci attitudini al disegno sono state coltivate dall’aria che respirò a Carrù in casa dello zio Luigi Borra (Burot, piccolo Borra) e incoraggiate dagli artisti carrucesi Emilio e Sandro Vacchetti. Francesco frequentò Italo Mus, a dipingere all’aperto bozzetti per i grandi paesaggi valdostani, con lezioni pratiche di serietà nell’applicazione e di umiltà di fronte alla natura. Analoghi esempi gli trasmise, senza condizionarlo, Eso Peluzzi con la sua pittura chiara, essenziale, raffinata, e fu affascinato dagli acrobati e dagli arlecchini che vedeva ritrarre da Max Dissar. La Langa con i suoi colori cangianti, i suoi calanchi, le sue vigne, i suoi contadini cotti dal sole e segnati dalla fatica, fornì i primi soggetti dei suoi dipinti ad olio o ad acrilico, con alberi, campi, case, presenze umane che fiorirono prepotenti sotto i tocchi del suo pennello disinvolto. A Condividere le fatiche dei langaroli, anche montanari impegnati in duri lavori sulle avare montagne che Burot frequentava e cantava in versi brevi e penetranti. A quelle figure di roccia e di sudore dedicò vigorose incisioni su legno e linoleum, mentre i disegni su carta inseguivano linee e ritmi più liberi e sognanti, accarezzati da lievi pennellate ad acquarello. Da molte estemporanee in mezza Italia, riportò riconoscimenti incoraggianti, ma soprattutto esperienze e conoscenze nuove, impulsi ad andare oltre. Cominciò allora ad affacciarsi, come scrisse Lorenzo Mamino, sulle invenzioni simboliste alla Lèger, e alla Dalì, sulle invenzioni plastiche alla Picasso , senza placarsi in esse, ma anche senza più dimenticarle. Le anse del fiume Tanaro lo attraevano, con i ciottoli levigati e striati, i ceppi divelti, le radici contorte, le cortecce incise da arcani alfabeti. Da langarolo amo la terra, le pietre, la natura e già la ricerca di quei reperti naturali provenienti da evi lontani divenne per lui un avvio d’arte diversa. Li palpava, li auscultava e, con mazzuolo e scalpello, ne liberava i messaggi arcani pietrificati da millenni, ne evidenziava storie ed armonie imprigionate come per sortilegio. Leggeva dentro quelle venature così come si legge il destino nei solchi di una mano e si stupiva dei volti senza età che ne emergevano. Visi contratti dal dolore, percorsi da spaventi, illuminati da sorrisi enigmatici, segnati da pensieri, emozioni, vicende indecifrabili ma fraterne ai sentimenti e ai dolori di sempre. Negli intrichi vegetali, come nei massi rotolati da chissà dove, scopriva gesti di ribellione e di abbandono, abbracci e ripulsioni, impulsi ed energie simili a quelli che agitano il mondo e le creature. Sculture istintive, scarne, contorte, drammatiche, che nella loro ruvidezza arcana e nell’adesione fisica alla materia richiamano i primitivi, gli sguardi ieratici di divinità arcaiche, l’energia dei barbari, le fitte figurazioni dei templi indiani e atzechi, i bassorilievi romanici, le estenuazioni gotiche e barocche, i totem americani, l’arte africana, ma anche opere di Arp, Picasso, Arturo Martini, Mastroianni, e Moore in particolare, scultori certamente visti, ma soprattutto intuiti, “sentiti con istintiva adesione. Da quelle pietre, da quei tronchi, dai crocefissi e dai partigiani torturati degli inizi, oltre ai cento e cento volti arcani, affiorarono toccanti figure di madri e di famiglie, abbracci tenaci e contorcimenti inestricabili. La ricerca di forme astratte, suggerite dalla natura ma subito trascese verso suggestioni inedite, si fece più prepotente, in scultura come in pittura. Qui, in grandi tavole ad acrilico, fiammate, cespi, felci primordiali presero a suggerire ritmi ed eventi di misteriosa vitalità, genesi e risvegli, caos e incubi. E così nella scultura, in pietra e in legno, forme reinventate, mosse, tormentate ma tese verso l’alto o alla perfezione della sfera, in un continuo ”passaggio dalla natura all’arte, dal pensiero alla volontà di esistere, dando corpo a fantasie di vitalità insieme torbida e sfuggente (L.Mamino). E Miche Borra: Un’arte generosa e ascetica che alla vigoria dell’espressione aggiunge quella di una meditazione che aspira a mitiche purezze, a valori spaziali e volumetrici, a una felice timbratura dei colori, al volo leggero della luce”. Trascinato dall’impeto generoso del carattere e dall’ansia di trovare un mondo suo e di scoprire un altro po’ di se stesso, è arrivato a intuire religiosamente nella natura tracce di forze superiori, di enigmi e di eventi, di aspirazioni e di sentimenti perenni e senza età. Da recensione di Ernesto Billò
Musica:IMSLP291840-PMLP03603-dso20130511-002-Tchaikovsky--Romeo-and-Juliet-Overture